Da sbirro a investigatore. L’evoluzione della Polizia di Stato

Da sbirro a investigatoreTorniamo a parlare di libri. E questa volta lo facciamo con Giulio Quintavalli, addetto all’Ufficio Storico della Polizia di Stato, autore del volume Da sbirro a investigatore, opera di fatto unica nel suo genere, in quanto interamente dedicata all’evoluzione dei metodi di indagine della Polizia di Stato italiana, attraverso uno studio attento e meticoloso che parte dal 1880 per arrivare all’indomani della Prima Guerra Mondiale, al 1919. Quest’ultima data, poi, come sarà lo stesso autore a confermarlo, segnerà uno spartiacque significativo nella storia dell’organismo principe adibito alla pubblica sicurezza: la nascita del Corpo degli Agenti di Investigazione, un reparto altamente specializzato, composto da uomini che operavano esclusivamente in borghese, con metodi di indagine innovativi per l’epoca. Importante fu anche il contributo che la Polizia di Stato fornì durante tutta la Prima Guerra Mondiale, tutelando sia l’ordine pubblico, sopperendo molte volte alla mancanza degli uomini dell’Arma dei Carabinieri mobilitati per il fronte, sia vigilando le frontiere italiane, le strutture militari, ma anche il grande numero di prigionieri austriaci.

1. Da sbirro a investigatore. Dove nasce l’idea di scrivere un libro dedicato ai sistemi di indagine della Polizia di Stato?
Dall’appartenenza alla Polizia di Stato. Una professione diversa da tante altre, contraddistinta da generose dosi di coraggio e altruismo e da un profondo rispetto della legalità.  Più che mai oggi, per diverse ragioni: si avverte ovunque uno sfaldamento tra Paese reale e legalità e il perseguire di falsi modelli culturali e valoriali che stanno sovvertendo regole, contenuti, principii. E, come ogni professione, quella del poliziotto, chiamata in prima linea contro le degenerazioni più accese di questi tempi, è puntellata da saperi e competenze specifiche che, come studioso, ho cercato di descrivere nella loro genesi.

2. Il volume attraversa quasi quarant’anni, dal 1880 al 1919. Come si sono evoluti i sistemi di indagine?
Cartolina storica PoliziaIl positivismo, che ha comportato fiducia nella scienza e nella tecnica, ha influenzato non poco le scienze sociali, come la nascente criminologia, e proiettato la criminalistica verso i risultati di laboratorio e modelli di detection certi, normativamente definiti, efficaci e riconosciuti nei tribunali. Mi riferisco, a esempio,  alla classificazione delle impronte  coniata da Giovanni Gasti, funzionario della Scuola di Polizia scientifica che, nel 1903 riuscì a districare la classificazione delle impronte digitali, problema che fino ad allora aveva impegnato in diverse nazioni non solo poliziotti d’eccellenza con il piglio della ricerca, ma anche uomini di scienza “pura”, come medici e antropologi.  A lui si deve la classifica dattiloscopica  che ha reso per decenni pratica ed efficace la ricerca e la classificazione dei cartellini segnaletici. Dal 1903 questi erano compilati dal Gabinetto della Scuola o confluivano dagli Uffici di Pubblica Sicurezza del Regno, ma anche dall’estero. La scoperta (classificazione  pentadattilare) utilizzata da moltissime polizie, avrà vita lunga, fino al 1997, allorquando è subentrato il Sistema AFIS (Automated Fingerprint Identification System), tutt’ora in uso. Penso a Umberto Ellero, altro funzionario della Polizia scientifica con il piglio della fotografia, che nel 1920 circa brevettò la teleiconotipia, o trasmissione a distanza delle immagine, in pratica il “papà” del fax. Poter risalire al volto di un individuo (identificato negli archivi dalle sue impronte ricavate dalla scena del crimine, o riconosciuto dalla vittima o dai testimoni dalla consultazione di album fotografici organizzati per caratteristiche della persona, come il colore degli occhi o della pelle, la statura, o ricostruito da esperti ritrattisti, ovvero elaborato dai primi rudimentali identi-kit) era una novità di rilievo. Poter inviare in pochi minuti in tutto il Regno, e anche all’estero, quella foto, disegno o elaborazione fu una svolta apicale nei mezzi di ricerca che, con altre innovazioni, dilatò notevolmente le prospettive della Polizia. Anche l’elettronica rinnovò i “ferri del mestiere” del poliziotto. Penso alle intercettazioni telegrafie e radiotelegrafiche, sperimentate al fronte tra eserciti avversari, e a quelle telefoniche, formidabile assist all’investigazione. Queste e tante altre novità comportarono un diverso approccio nelle indagini e riscrissero la mentalità collettiva del poliziotto che, da sbirro, animato quindi dalla cultura del sospetto e  della prevaricazione, si trasformò in investigatore, capace professionista  che ben sapeva porre a rendita i nuovi mezzi di detection,  come le cronache dell’epoca ampiamente dimostrano.

3. La Polizia di Stato ha contribuito anche al primo conflitto mondiale. Come avvenne questo suo sforzo in termini di uomini?
Guardie di P.S. a CavalloDistinguiamo due fasi: nella prima, che si conclude con i primi dodici mesi di guerra, la Polizia rimase sola a presidiare i maggiori centri urbani visto che i Carabinieri vennero subissati dagli impegni di natura militare. Tutelò l’ordine pubblico, i beni delle numerosissime aree sfollate e lasciate frettolosamente incustodite, curò la vigilanza a siti di interesse militare, il presidio delle frontiere, della rete ferroviaria e dei porti su persone e commerci, l’esecuzione di provvedimenti dei tribunali militari e civili, di autorità amministrative e sanitarie, il sostegno alle popolazioni colpite da incursioni aeree o navali in località lontane dal fronte e nelle zone costiere, la polizia politica (tema storiograficamente poco esplorato), e Atti eroici Poliziaaltri  numerosi ed eterogenei  servizi di natura riservata o militare. Importante fu l’anagrafe e vigilanza degli stranieri sospetti (ricordiamo che alla dichiarazione di guerra con l’Austria in Italia vi erano oltre 50.000 sudditi austroungarici, molti dei quali possidenti di beni, terreni, case e ville anche a ridosso di obbiettivi strategici, come porti, siti industriali, centrali idroelettriche, miniere, scali ferroviari, tutti sospettti di spionaggio). Alla Polizia fu affidata la vigilanza dei prigionieri di guerra-lavoratori, l’acquisizione e il riscontro di informazioni su persone, gruppi, associazioni e partiti politici, imprenditori, industriali e finanzieri, agenzie di stampa, giornali e giornalisti. Dopo il 1917, con il deterioramento Polizia e brigantaggiodello spirito pubblico, anche sugli imboscati, un tema particolarmente “caldo” per la stampa sensazionalista e gli uomini al fronte. Tra settembre del 1916 e febbraio del 1917 il Governo Boselli, con agli Interni Orlando creò due innovativi organi centrali di polizia invocando la capacità investigativa, silente e professionalizzata dell’Istituzione, recentemente maturata e pertanto definitivamente riconosciuta: l’Ufficio Centrale per la repressione dell’abigeato e del pascolo abusivo nelle provincie dell’Italia meridionale e della Sicilia, e l’Ufficio Centrale Investigazione per l’intelligence militare. Questi sono aspetti decisamente meno noti e che, spero, possano attirare ancora di più l’attenzione del lettore. Orlando, cito le sue Memorie, studiò come superare la “preoccupazione” del momento con la creazione di un istituto centrale di polizia “che io destinai soprattutto a controbattere il fenomeno nello stesso tempo spionistico e politico dell’anteguerra. Io, arrivato a Palazzo Braschi, ebbi la sensazione che il fondamentale difetto della polizia italiana derivasse dal fatto dell’essere  estremamente burocratizzata, mal pagata e circoscritta male. Ora vi sono delle forme di delinquenza che proprio prescindono dalla circoscrizione territoriale e la cui specialità è di agire indipendentemente, cioè per rapporti, per contatti. Or l’organizzazione territoriale fa sì che il funzionario di Pubblica Sicurezza, magari esemplare, quando ha assicurato il funzionamento del suo territorio, non si occupa del resto. Vi sono invece i reati di preparazione politica, di movimenti o di complotti, come dovrebbero essere quelli che fanno i soldati verso l’Esercito e il fenomeno spionistico altresì, che hanno proprio per caratteristica di agire fuori del territorio”. Orlando era certo che dietro inspiegabili “incidenti” a navigli militari nei porti, a siti e obiettivi militari, vi fosse lo zampino del servizio segreto austroungarico, rimpinguato dalla massiccia comunità austriaca e tedesca in Italia, dagli anarchici, dai pacifisti, da nemici interni e da alcuni elementi della cura vaticana. E a ben ragione. Gasti, che si rivelò acchiappaspie con pedigree, riuscì a incastrare con poche decine di selezionatissimi collaboratori centinaia di spie e fiancheggiatori, e perfino Rudolf Gerlach, alto prelato tedesco cameriere partecipante del pontefice Benedetto XV. Secondo i sospetti, il monsignore riceva dall’Austria tramite illecite triangolazioni cospicue somme in denaro con cui pagava profumatamente confidenti e “soffioni”, e faceva la bella vita. L’Ufficio Centrale abigeato dovette risolvere una gravissima emergenza: la carenza di bestiame per traino, trasporto e soma, fondamentali nella guerra di montagna per un esercito affatto meccanizzato, come il nostro. La guerra dei mari aveva bloccato l’importazione (prevalentemente da Francia e Argentina) e la mobilitazione di centinaia di migliaia di uomini, tra loro molti allevatori, avevano sottratto all’allevamento braccia utili. L’Esercito stava chiedendo ingentissime quantità di cuoio e pellame (per calzature e finimenti) e di carne, fresca o in scatolame. Orlando puntò per rimpiazzare il deficit di bestiame sulla Sicilia che (novità), divenne subito teatro d’azione della mafia, che organizzò il furto sistematico di bestiame (abigeato). Lo vendeva, lo rubava dai recinti e stalle, cambiava la marcatura (a fuoco) e lo rivendeva ancora all’Esercito. Oppure lo macellava clandestinamente con grave rischio per la salute pubblica e l’economica pubblica. Dirà il giudice Giovanni Falcone negli Anni Ottanta riguardo Cosa Nostra: “Segui i soldi e troverai la mafia!”. Insomma, la lotta alla mafia divenne una componente importante ma taciuta del fronte interno per le inevitabili ripercussioni sul morale dell’Esercito. I soldati siciliani erano allarmati per quello che stava accadendo nelle loro terre; anche per questo il Governo mise a disposizione di Augusto Battioni mille tra Poliziotti e Carabinieri per la sola Sicilia, più del 10% dell’organico di tutta la Polizia del Regno. L’isola si trasformò in un far west con morti e feriti tra uomini di legge e bande di criminali.

4. C’è un momento in particolare che segna, diciamo così, il passaggio da “sbirro a investigatore”, da passato a presente?
L’istituzione nell’agosto del 1919 del Corpo degli Agenti di Investigazione. Una realtà assolutamente esclusa dalla storiografa nonostante a esso si deve una Polizia moderna. Era composto da 8000  uomini,  adibiti ai soli servizi di indagine e di polizia tecnica, non era prevista l’uniforme (quindi operavano solo in borghese), erano civili, come la Polizia di oggi, e articolati in due sole qualifiche: agente e ispettore. In pratica degli Starsky & Hutch nostrani, i due noti investigatori  della serie televisiva degli Anni Settanta andata in onda su Rai 2 per poi essere replicata nel corso degli anni anche da altre emittenti. Gli agenti investigativi saranno assorbiti nell’Arma dei Carabinieri nel 1923.

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