Padre Giuseppe Vallarino, Cappellano del Battaglione Pieve di Teco

Fu Cappellano del Battaglione Pieve di Teco, 1° Reggimento Alpini, Divisione Cuneense, Don Giuseppe Vallarino, che seguì il “suo” reparto di Penne Nere tra le steppe innevate dello sconfinato territorio russo. Era nato ad Albenga nel 1914 e fin da ragazzo aveva coltivato l’idea di prendere i voti, seguendo una missione spirituale che si sentiva crescere dentro: con i Frati Minori venne ordinato Sacerdote ed assegnato, con il grado di Tenente, a quel reparto di Alpini che non lascerà mai più, condividendone le gioie e le sofferenze per tre lunghi anni di guerra. Don Giuseppe, infatti, lo seguì in Grecia, dove centinaia di giovani suoi coetanei caddero negli aspri combattimenti sulle alture della Vojussa, del Mali Scindeli, di Klisura. E il loro Cappellano, Penna Nera tra le Penne Nere, era sempre pronto e disponibile a raccogliere un’ultima confessione, un’ultima preghiera, un’ultima lettera da spedire a casa alle famiglie lontane. Anche quando si andò costituendosi l’ARMIR, quella Armata Italiana in Russia, il Battagline Pieve di Teco, così come l’intera Divisione Alpina Cuneense, Don Ggiuseppe partì senza indugio, con la tradotta verso l’oriente, tanto misterioso, quanto mortale.

Distinguendosi sempre per la sua costante presenza sulla prima linea del fronte, dove più vi era bisogno della sua assistenza spirituale, Giuseppe Vallarino fece di quella croce ricamata sulla divisa grigio-verde una vera e propria missione. Anche quando, nel dicembre 1942, l’Armata Rossa scatenò l’offensiva lungo l’intera ansa del Don, che costringerà i reparti italiani ad una faticosa e mortale marcia all’indietro, a piedi, ritirandosi per centinaia di chilometri nella steppa, con l’unico obiettivo di rientrare in Italia. Tra il 17 e il 23 gennaio 1943, sotto un incessante fuoco di mortai e artiglieria sovietica, gli Alpini del Pieve di Teco si ritrovarono circondati tra Selijakino e Ossadtschij: presto spraffatti, i pochi superstiti riuscirono a rompere l’accerchiamento e a ricongiungersi al grosso delle colonne italiane in rotta. Molti di loro, soprattutto i feriti e i congelati, coloro che non poterono più continuare la marcia, vennero catturati e fatti prigionieri, dando inizio ad una nuova marcia mortale, questa volta verso i campi di prigionia. Tra costoro vi fu anche Don Giuseppe, che, non volendo lasciare al proprio destino i moribondi, rimase loro accanto anche nei momenti più drammatici. Da quel momento, tutto quello che giunse in Italia dei suoi ultimi istanti di vita si deve al ricordo di qualche Alpino che ebbe la fortuna di tornare in Italia a fine guerra. Con un grave principio di assideramento a braccia e mani, stremato dalla fatica, si spense nei pressi di Orlanki, nei dintorni di Mosca, in una data imprecisata del marzo 1943.

A Don Giuseppe Vallarino, a conflitto ormai concluso, venne conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria, mai dimenticato da quegli Alpini che, con ogni mezzo e con la forza della disperazione, aveva contribuito a salvare e a confortare: “Cappellano Militare di Battaglione Alpino, già distintosi per elevato senso del dovere in aspri cicli operativi, durante un prolungato tormentoso ripiegamento, nonostante il gelo e la tormenta, il nemico da ogni parte incalzante e l’assillo delle distanze, fu sempre esempio di serenità agli Alpini. In ripetuti aspri combattimenti, con ammirevole sprezzo del pericolo, si portava tranquillo e impavido laddove era necessaria la sua presenza per soccorrere i combattenti e mantenere elevato lo spirito. Colpito da gravi sintomi di congelamento alle mani, mai trascurò la sua missione. Dopo la cattura, nelle faticose marce per raggiungere i campi di concentramento, incurante delle sue atroci sofferenze a causa del gelo, infondeva animo ai superstiti. Aggravatosi, decedeva in prigionia col pensiero rivolto ai suoi Alpini coi quali aveva diviso in tormenti. Fronte Russo, 17-26 gennaio 1943″.

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