C’è tanto da imparare su quelli che un tempo furono i campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale, sparsi un po’ dappertutto in Italia. Così come recandosi in visita presso uno dei tanti cimiteri e sacrari sorti dopo il conflitto e che raccolgono i resti di migliaia di soldati italiani, tedeschi, americani, inglesi. Come a Firenze, dove sorse, a partire dal 1947, quello che oggi è conosciuto come Florence War Cemetery, e che ospita oltre 1600 caduti del Commonwealth britannico, uccisi nei combattimenti che interessarono l’Appennino Tosco-Romagnolo nell’estate del 1944 (ma non solo): raggiunta la città di Firenze a metà agosto, gli Alleati proseguirono la loro avanzata fuori il capoluogo toscano, attestandosi sul tratto appenninico della Linea Gotica, tra Scarperia, il Passo del Giogo e della Futa, mentre sul versante tirrenico, ai piedi delle Alpi Apuane, i soldati brasiliani e della Divisione Buffalo procedevano in direzione di Pistoia, della Lucchesia e della Garfagnana. E questi cimiteri, ultimo luogo di riposo di tanti giovani poco più che ventenni, possono ancora oggi raccontare tantissime storie. Aspettano solo qualcuno in grado di poterle ascoltare e tramandarle, perché la memoria, ancora una volta, non vada perduta per sempre. Esattamente come quella di due equipaggi, che nel Florence War Cemetery sono stati sepolti, uno accanto all’altro, come in un ultimo volo. Assieme. Quando, il 25 novembre 1943, da un campo d’aviazione nei pressi di Tunisi decollò una formazione del 142th Squadron della Royal Canadian Air Force, composta da una settantina di velivoli, l’obiettivo era quello di raggiungere la periferia di Torino, colpire gli stabilimenti industriali e fare ritorno alla base.
Una missione di routine, identica a quelle già portate a termine nelle settimane e nei mesi precedenti. Ma niente, in guerra, può diventare routine. Soprattutto quando qualcosa, ad oltre mille metri di quota, può andare storto. Un guasto improvviso, un’avaria non contemplata, la caccia nemica e la reazione della contraerea possono trasformare una semplice missione di volo in qualcosa di disastroso. E quel 23 novembre 1943 furono tante le cose che andarono storte. Nonostante il servizio meteorologico della RAF britannica svolse nei giorni antecedenti il volo una precisa e alacre attività sulle condizioni del tempo, una volta in volo i piloti del 142th Squadron incapparono in strati di nuvole basse, forti temporali, formazioni di ghiaccio, raffiche di vento. Molti andarono fuori rotta, cercando invano alcuni punti costieri facilmente riconoscibili, altri tentarono di raggiungere Torino e le sue fabbriche, altri andarono perduti per sempre. Come il Vickers Wellington pilotato dal Sergente Pilota Stanley Joseph Oulette e dal Navigatore Charles Maxwell Mair. Con loro, i Sergenti Geoffrey Urwin Topp (mitragliere), George Perry Armstrong (addetto al vano bombe) e Gordon Bowering (addetto alle comunicazioni radio). Persisi tra le nubi, la nebbia e i forti piovaschi, forse cercando di abbassarsi per riconoscere la zona sorvolata, precipitarono presso Fornovolasco, sulle montagne della Pania della Croce, in Garfagnana, la stessa zona che, un anno dopo, sarà teatro dei duri scontri tra gli Alleati e le forze italo-tedesche sulla Linea Gotica.
Storie di uomini, prima ancora che di soldati. Caduti in una guerra che neanche si immaginavano, pochi anni prima, di dover combattere. E c’è chi continuò a volare anche quando il proprio Paese non esisteva più, annesso ai territori del Reich da oltre tre anni. Era il 26 giugno 1944. Roma era stata raggiunta il 4, mentre il giorno 6, nel Nord della Francia, nella Normandia, aveva avuto inizio l’assalto alla Fortezza Europa, con uno sbarco condotto da oltre cinquemila navi ed una potenza di fuoco mai vista prima. Entrati nel 55th Squadron, il Capitano Pilota Sava Zarkov, il Tenente Sinisa Zlatanovic e i Sergenti Georgije Grozdanitch e Jozef Starc prestavano servizio nell’Aviazione Jugoslava: quando, dall’aprile 1941, il loro Regno cadde sotto i cingoli dei Panzer tedeschi, riuscirono a raggiungere l’Inghilterra e a continuare a combattere volando con i distintivi della Royal Air Force. Decollati a bordo di un Bombardiere Martin Baltimores per una missione di ricognizione nella pianura pistoiese, a ridosso delle linee nemiche, a notte inoltrata il velivolo non diede più notizie. Vani furono i tentativi di mettersi in contatto radio: ai messaggi lanciati nell’etere, non pervenne mai nessuna risposta. Quando l’avanzata alleata proseguì verso il centro-nord della Toscana, i quattro Avieri jugoslavi vennero rinvenuti nei pressi di Casone, frazione di Sambuca Pistoiese. Sono trascorsi oltre settant’anni da quegli eventi. Ma i due equipaggi sono ancora li, in un verde prato poco fuori Firenze, riuniti nel Florence War Cemetery in attesa di qualcuno che racconti ancora una volta la loro storia. Noi ci abbiamo provato.