La magia delle canzoni di Fabrizio De André era (ed è) racchiusa in una parola: allusione. Senza mai citare persone e fatti reali, concreti e tangibili, bastava una strofa affinché quell’allusione divenisse davvero reale. E questo accade soprattutto in Se ti tagliassero a pezzetti, tanto che, se ai meno attenti può ricordare solamente un inno all’amore e alla libertà, in una strofa quasi sussurrata nasconde, invece, una delle stragi più sanguinose che colpirono l’Italia e i suoi cittadini: “T’ho incrociata alla stazione, che inseguivi il tuo profumo, presa in trappola da un tailleur grigio fumo. I giornali in una mano e nell’altra il tuo destino, camminavi fianco a fianco al tuo assassino”. Perché quella stazione, in cui il cantautore incontra questa ragazza senza un nome, non è altro che quella di Bologna, in una estate già macchiata del sangue di innocenti, inabissatisi nel Mar Tirreno, tra le Isole di Ponza e di Ustica. Era il 2 agosto 1980 quando un’intera città addormentata dal caldo e dall’afa, dovette svegliarsi improvvisamente, macchiata del sangue di ottantacinque morti e di oltre duecento feriti, dilaniati da oltre venti chili di tritolo esplosi nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione. In carcere, è vero, sono finiti i colpevoli, o almeno quelli che la Magistratura ha ritenuto tali. Ma non mancano, dopo oltre quarant’anni, specie a ridosso dell’anniversario, nuovi scoop, nuove rivelazioni, nuovi testimoni che, improvvisamente, hanno qualcosa da dichiarare.
Tra quanti quel maledetto giorno furono investiti in pieno dall’esplosione, dall’onda d’urto e dalle macerie della stazione crollata, vi fu anche una bambina, di tre anni, Angela Fresu, che si trovava assieme alla sua mamma Maria, in attesa di salire sul treno: erano a Bologna perché stavano partendo per le vacanze, qualche giorno lontano dal caldo per raggiungere il Lago di Garda, su al nord. Ma qualcuno decise che quel viaggio non si doveva compiere, così come quello delle altre vittime. La storia della piccola Angela ricorda quella di un’altra giovane vita spezzata, quella di Giuliana Superchi che, contenta per l’inizio delle vacanze estive, era partita anche lei da Bologna per raggiungere suo papà giù in Sicilia. Ma non in treno, in aereo. Quel DC-9 della Compagnia Itavia che, ormai prossimo all’Aeroporto di Punta Raisi, scomparve improvvisamente dagli schermi radar dei controllori civili e dell’Aeronautica Militare, infilandosi (e qui il destino giocò il suo brutto scherzo), nella Fossa del Tirreno, a quasi 3800 metri sotto la superficie del mare. Perché come per Giuliana, anche di Angela non venne rinvenuto un corpo: si disse, allora, che madre e figlia si trovavano praticamente nel punto zero, a brevissima distanza, se non affianco, della borsa che conteneva l’esplosivo. Polverizzate, scomparse per sempre senza lasciare la benché minima traccia. Più tardi, un lembo di pelle rinvenuto tra le macerie verrà attribuito a Maria Fresu, unico frammento rimasto di una donna adulta.
E come ogni anno, a Gricciano di Montespertoli, sulle colline intorno a Firenze, una comunità intera ricorderà quella giovane madre e la sua bambina, che dalla Sardegna, assieme alla loro famiglia, si erano trasferite in Toscana. E come ogni anno, qualcuno deporrà un nuovo mazzo di fiori, davanti a quella grossa lapide pesante più di un macigno, che ricorda, una per una, le ottantacinque vittime: quando hanno ricostruito il padiglione crollato della stazione, volutamente l’enorme squarcio causato dall’esplosione è stato richiuso solo con un vetro, lasciando la parte aperta, come una ferita cicatrizzata, ma non rimarginata. Perché Bologna è questa: una città doppiamente ferita in quella calda e torrida estate del 1980, dapprima con il DC-9 decollato in ritardo dall’Aeroporto Guglielmo Marconi e poi con ventitré chili di tritolo nella sala d’aspetto di seconda classe della Stazione Centrale. Non rimase nulla di Maria e Angela: la bianca bara della bambina di Montespertoli era vuota, il giorno dei funerali. Nessun corpo su cui piangere, scomparsa per sempre tra la polvere e le macerie della stazione. E forse è stato meglio così, piuttosto che dover riconoscere un piccolo corpo dilaniato, mutilato, bruciato, fatto a pezzi. E allora ecco che torna alla mente quella canzone di Fabrizio De André, con la protagonista senza nome, e il destino scritto in note della piccola Angela: “Ma se ti tagliassero a pezzetti il vento li raccoglierebbe. Il regno dei ragni cucirebbe la pelle e la luna, la luna, tesserebbe i capelli e il viso e il polline di Dio, di Dio il sorriso”.