Tutto ebbe inizio da un banale acquisto di una copia di un quotidiano locale nei sobborghi di Brooklyn: Jimmy Bozart, strillone di strada appena quattordicenne che si guadagnava da vivere vendendo il Brooklyn Eagle, ricevette da un ignoto acquirente come forma di pagamento alcune monete, tra cui un nichelino (nomignolo utilizzato per indicare i cinque centesimi) stranamente leggero. Fu da un’azione tanto banale che iniziò uno dei casi di spionaggio più celebri di tutta la Guerra Fredda, durato quasi dieci anni, che attraversò i territori degli Stati Uniti d’America, delle due Repubbliche Tedesche e dell’Unione Sovietica. Era il 22 giugno 1953 quando il giovane Bozart fece una scoperta che, forse, era meglio non facesse: gettandolo a terra, il nichelino si aprì, lasciando cadere dal suo interno un piccolo spezzone di microfilm, con lunghe sequenze di numeri. Per quasi quattro anni, il Federal Bureau of Investigation tentò, invano, di decifrare quel codice, ma senza la matrice originale per la decodifica l’impresa risultò del tutto impossibile. Così, quel piccolo microfilm cadde quasi nel dimenticatoio, nonostante il controspionaggio, da dietro le quinte, cercasse in ogni modo di venirne a capo, soprattutto a capirne la provenienza. Intanto gli anni passavano, la Guerra Fredda si acuiva sempre più, arrivando fino al maggio 1957: i funzionari dell’Ambasciata Americana di Parigi non credettero ai loro occhi e alle loro orecchio, quando un agente del KGB, il servizio segreto russo, decise di disertare, consegnandosi spontaneamente, dopo aver oltrepassato il portone d’ingresso dell’edificio diplomatico.
Fu così che ben quattro anni dopo la scoperta fatta quasi per caso dal quattordicenne Jimmy Bozart, quell’indecifrabile codice poté essere messo finalmente “in chiaro”: la ormai ex spia sovietica, Reino Hayhanen, Tenente Colonnello dell’intelligence di Mosca di origine finlandese, fornì alle autorità americane il tanto agognato cifrario. Il codice impiegato, tra l’altro, era tra i più sofisticati in circolazione, sfruttando come base per a codifica la sequenza di Fibonacci e varie altre cifrature per garantirne ancora di più la segretezza. L’Agente Victor, come era chiamato in codice, inoltre, fornì anche diversi nomi: ossia quelli di alcuni suoi superiori e colleghi, agenti segreti anch’essi, tra cui Michail Nikolaevic Svirin, funzionario sovietico accreditato presso la legazione delle Nazioni Unite, Vitaly Pavlov, agente sotto copertura presso l’Ambasciata di Ottawa, e un sottufficiale dello United States Army, il Sergente Roy Rhodes, passato al nemico dopo essere stato avvicinato con la prospettiva di facili guadagni mentre era in servizio presso l’Ambasciata di Washington a Mosca. I loro compiti, agendo nell’ombra, dietro le quinte di quella guerra mai dichiarata e combattuta dalle spie dell’Est e dell’Ovest, erano quelli di raccogliere quante più informazioni possibili sul sistema missilistico americano, sulla difesa aerea e sugli armamenti atomici. E tutte le informazioni raccolte giungevano a Mosca per il tramite di un altro agente, tale William Genrichovic Fischer: il suo vero nome era, però, Rudolf Abel, membro, fin dal 1927, della GPU, la polizia segreta sovietica antecedente al KGB. Considerato uno dei più importanti agenti sul suolo americano, il suo arresto fu condotto da uomini dell’FBI il 21 giugno 1957 e si trasformò subito in un caso mediatico senza precedenti, almeno da quando furono condannati alla sedia elettrica i due coniugi Julius e Ethel Rosenberg, giustiziati il 19 giugno 1953 nel Carcere di Sing Sing, in quanto accusati di cospirazione con l’Unione Sovietica, di essere spie assoldate da una Nazione straniera e di aver trafugato segreti nucleari.
Il processo a Rudolf Abel fu, in estrema sintesi, già deciso prima di venire imbastito. Sebbene rischiasse la pena di morte, la sentenza emessa lo condannò a trent’anni di carcere. E li avrebbe scontati tutti se, il 1° maggio 1960, un Aero Spia U2 non fosse stato abbattuto da un missile contraereo mentre sorvolava il territorio sovietico, nell’Oblast di Sverdlovsk, nei pressi di Ekaterinburg. Quella che poteva trasformarsi in una crisi internazionale senza precedenti, si risolse, invece, in una mediazione delle diplomazie dei due schieramenti: il Capitano Francis Gary Powers, lo sfortunato pilota dell’U2 abbattuto, dopo una prigionia durata quasi due anni nelle carceri della Lubjanka a Mosca, venne scambiato con Rudolf Abel presso il Ponte di Glienicke, a Potsdam. Contemporaneamente, al Check-Point Charlie, a Berlino, le autorità della Repubblica Democratica Tedesca rilasciarono uno studente americano, Frederic Pryor, arrestato dalla STASI durante un normale controllo dei passaporti. Con lo scambio dei prigionieri, avvenuto in una fredda e umida notte del 10 febbraio 1962, aveva ufficialmente fine l’affaire del nichelino cavo: la Guerra Fredda, però, si sarebbe inasprita ancora di più: pochi mesi dopo, infatti, un altro velivolo U2, questa volta sorvolando l’Isola di Cuba, fotografò alcune rampe missilistiche equipaggiate con missili balistici a medio raggio, in grado di colpire la quasi totalità del territorio americano.