Quel giorno, quel fatidico 20 settembre 1870, il Maggiore Giacomo Pagliari partì alla testa dei suoi Bersaglieri, del 34° Battaglione, dopo che i cannoni degli Artiglieri del Regno d’Italia avevano abbattuto un tratto di mura presso Porta Pia. Una breccia di poche decine di metri, dalla quale, riversandosi come un fiume in piena, accompagnati dagli squilli delle trombe, i soldati italiani ponevano, de facto, fine alla campagna militare contro lo Stato Pontificio, segnando ufficialmente l’annessione della Città Eterna allo Stato dei Savoia. Alla fine, le perdite da ambo le parti furono quasi irrisorie di fronte all’epicità dell’evento: fu lo stesso Generale Raffaele Cadorna, Comandante del V Corpo d’Armata, una volta consegnate alla Storia le sue memorie, a tirare le somme dell’intera impresa. Appena quarantanove morti e circa centoquaranta feriti tra i soldati italiani e poco meno di sessanta caduti, tra morti e feriti, per l’Esercito Pontificio: e tra coloro che vennero raccolti dal campo di battaglia, mortalmente feriti, vi anche il Maggiore Pagliari, colpito in pieno petto da una scarica di fucileria non appena varcata quella breccia che avrebbe consegnato per sempre Roma all’Italia e l’Italia a Roma.
Per certi versi, la storia di Giacomo Pagliari ricorda quella di tanti patrioti, nati sotto l’insegna dell’Aquila asburgica, ma dal chiaro sentimento italiano: la sua famiglia era di Persico, piccolo comune alle porte della città di Cremona, allora circoscrizione asburgica. E fu sotto l’Imperial Regio Austro-Ungarico che iniziò la sua vita militare: servì come Caporale nel 23° Reggimento di Linea, salvo poi defezionare all’alba dei moti del 1848, quando le rivolte contro il potere e il dominio degli Asburgo dilagarono in tutta la Lombardia. Da allora, dapprima per l’Armata Sarda e, in seguito, per il Regio Esercito, fu sempre al servizio di quella Bandiera di tre colori che, nel 1897, ne scriverà anche Giosuè Carducci: “il bianco, la fede serena alle idee; il verde, la perpetua rifioritura della speranza a frutto di bene nella gioventù de’ poeti; il rosso, la passione ed il sangue dei martiri e degli eroi. E subito il popolo cantò alla sua bandiera ch’ella era la più bella di tutte e che sempre voleva lei e con lei la libertà”. E di sangue, Giacomo Pagliari ne vide scorrere per essa, arrivando fino a versare il suo. Fu in battaglia a Goito, il 30 maggio 1848, dove mise in luce tutta la sua audacia e capacità di giovane ufficiale, quale Sottotenente del 1° Reggimento di Linea Lombardo; fu poi in Crimea, con il Corpo di Spedizione Italiano agli ordini del Generale Alfonso La Marmora, dove ricevette una speciale menzione direttamente dal Sovrano, Vittorio Emanuele II, per aver affrontato in battaglia, nei pressi del Fiume Cernaia, in Crimea, i soldati russi.
Il 16 agosto 1855, gli Italo-Franco-Turchi, in tutto circa 37.000, si scontrarono in battaglia contro un numero pari di Russi, nel più ampio settore del fronte di Sebastopoli. Ma, soprattutto, si distinsero i Piemontesi: appena trecento uomini ressero l’urto di una colonna nemica, attaccante fin dalla notte. Dopo la Crimea, non ci fu campo di battaglia in terra italiana che non vide prendervi parte Giacomo Pagliari: promosso Capitano e poi Maggiore, combatté a San Martino e a Palestro nel corso della Seconda Guerra d’Indipendenza e a Custoza, sotto il Generale Enrico Cialdini, nel 1866. E poi venne Roma. Gli venne affidato il comando del 34° Battaglione dei Fanti Piumati, coloro che per primi avrebbero dovuto prendere d’assalto Porta Pia: in sella al suo cavallo, sciabola sguainata, cadde colpito in pieno petto da una raffica di fucileria, per poi essere raccolta morente, sul campo di battaglia, da alcuni dei suoi Bersaglieri. Il Re d’Italia, Vittorio Emanuele II volle decorarlo di Medaglia d’oro al Valor Militare alla Memoria: “Per aver con intelligenza e ammirabile slancio condotto il proprio battaglione all’attacco della breccia di porta Pia, rimanendo a pochi passi da essa mortalmente ferito. Roma, 20 settembre 1870“.