Thirteen Days: la crisi dei missili di Cuba

La crisi di CubaIl mondo intero rimase letteralmente con il fiato sospeso per tredici lunghi interminabili giorni. Tredici giorni in cui una mossa più azzardata, un fraintendimento delle intenzioni dell’avversario, avrebbe portato il mondo verso una guerra nucleare. I missili sulle rampe di lancio pronti a colpire il bersaglio, una distruzione mutua assicurata che non avrebbe sancito né vincitori né vinti: entrambi gli schieramenti si sarebbero annientati a vicenda. Furono drammatici quei Thirteen Days, portati sul grande schermo con un film del 2000 e che sono stati raccontati da Marco Altobello ne La crisi dei missili di Cuba. Quando un velivolo Lockheed U-2, catalogato come ricognitore strategico, fotografò da oltre ventuno chilometri di quota ciò che i Sovietici stavano impiantando a Cuba, da pochi anni guidata da Fidel Castro, non vi furono dubbi: missili a medio raggio R-12 (SS-4 Sandal in codice NATO) e intermedi R-14 (SS-5 Skean). La crisi raggiunse il suo apice il 27 ottobre 1962: quel giorno, un U-2 pilotato dall’esperto Maggiore Rudolf Anderson venne abbattuto nei cieli dell’isola durante un ennesimo volo di ricognizione, elevando lo stato di allerta a DEFCON 2.

Missili a Cuba1. La crisi dei missili di Cuba ha rappresentato una delle escalation più drammatiche di tutta la Guerra Fredda. Come si giunse a quel quasi punto di non ritorno?
La crisi dei missili di Cuba rappresenta probabilmente il momento più pericoloso di tutta la Guerra Fredda. Solo facendo riferimento alla mentalità tipica di quel momento storico, si possono comprendere le cause di una crisi che trascinò il mondo ad un passo dalla guerra nucleare. In effetti, le motivazioni che portarono alle stelle la tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica vanno ricercate nei mutamenti geopolitici che, nel pieno della guerra fredda, spinsero il Sud America a diventare protagonista del nuovo contesto internazionale venutosi a creare a seguito del processo di decolonizzazione. L’entrata in scena dell’America Latina nello scenario geopolitico rappresentò una novità che andò a minare il processo di coesistenza, portando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica a scontrarsi per estendere la propria influenza nella regione. La rivoluzione cubana rappresentò il culmine di questo processo. Il nuovo regime di Castro portò gli Stati Uniti ad una politica aggressiva nei confronti della piccola isola caraibica. Le rappresaglie economiche e il tentativo di invasione della Baia dei Porci spinsero definitivamente Cuba tra le braccia dell’Unione Sovietica. Gli Stati Uniti vedevano scemare lo loro storica influenza sull’isola di Cuba e, nel pieno della Guerra Fredda, non potevano permettere all’Unione Sovietica di prendere il posto che per storia e vicinanza geografica spettava di diritto agli Stati Uniti. A loro volta i Sovietici non potevano lasciarsi sfuggire l’occasione irripetibile, determinata dal successo della rivoluzione castrista, di penetrare nel continente americano. La rivoluzione cubana fu una manna dal cielo inaspettata per Chruščëv, che non avrebbe potuto desiderare un posto migliore per minacciare direttamente gli Stati Uniti. La nuova classe dirigente sovietica, capeggiata da Chruščëv, si discostò dalla linea staliniana iniziando ad interessarsi a zone geografiche nuove ed entrando in rotta di collisione con la politica estera statunitense in un momento, tra l’altra, in cui lo scontro si era riacutizzato a seguito della costruzione del muro di Berlino.

Kennedy e Kruscev2. Perché l’Unione Sovietica di Nikita Chruščëv giocò la carta dei missili a Cuba? Fu solo la risposta agli Jupiter in Turchia e Sud Italia o fu anche altro?
La situazione militare del momento, nonostante i bluff di Chruščëv, vedeva una netta supremazia nucleare americana. Lo stanziamento di missili nucleari a Cuba permise all’Unione Sovietica di riequilibrare la bilancia del potere. In effetti, il reale intento di Chruščëv non era quello di far scoppiare una guerra atomica, ma quello di ridurre il gap nucleare con gli USA, piazzando missili in grado di colpire direttamente il territorio americano. “Avrebbero imparato [gli Americani] che cosa vuol dire avere dei missili puntati contro. Non facevamo altro che somministrare loro la stessa medicina”, scrisse il Premier sovietico nelle sue memorie. Questo atteggiamento di Chruščëv risultò fondamentale nella risoluzione della crisi, determinata dal ritiro dei missili americani da Italia e Turchia e dalla garanzia statunitense di non invadere di Cuba. Inoltre pesarono molto le insistenze di Fidel Castro affinché i Sovietici aiutassero Cuba non solo economicamente ma soprattutto dal punto di vista militare in previsione di un nuovo colpo di mano americano che, secondo il leader cubano, avrebbe portato all’imminente invasione della sua isola.

Missili a Cuba ONU3. Quanto giovó la diplomazia delle Nazioni Unite di U-Thant nel risolvere la crisi?
L’ONU ebbe un’importanza fondamentale nel portare la crisi nell’ambito delle trattative diplomatiche tradizionali. Gli scontri all’assemblea generale delle Nazioni Uniti (celeberrimo il duello tra Zorin e Stevenson) ne sono la prova. La piena disponibilità del segretario U-Thant era volta ad incentivare un dialogo tra le parti ma il ruolo delle Nazioni Unite, istituzione che in quel momento godeva comunque di un rispetto e autorevolezza maggiore rispetto ad oggi, non fu determinante. Determinanti furono le dinamiche e i rapporti personali tra Chruščëv e Kennedy. Soprattutto fu importantissimo l’intervento di Papa Giovanni XXIII, un vero e proprio gigante che andò ad inserirsi in quello che è stato definito dagli storici come un “improbabile triumvirato”, che indirizzò la crisi verso una risoluzione pacifica.

Guerra Fredda4. Dopo la risoluzione della questione sui missili, come furono le relazioni internazionali tra i due blocchi?
La situazione senza precedenti di ritrovarsi ad un passo dalla guerra nucleare ha determinato conseguenze importanti, sia a livello internazionale, sia nella storia dei singoli Stati e dei singoli protagonisti.  Tra le conseguenze internazionali, oltre alla rimozione dei missili da Italia e Turchia, emergono la fine della pressione sovietica su Berlino, una forte spaccatura politico-ideologica tra Cina e Unione Sovietica e l’installazione di una hot line, una linea rossa o linea calda tra la Casa Bianca e il Cremlino, che potesse permettere ai leaders di parlarsi direttamente in caso di necessità. Fondamentale tra le conseguenze della crisi è il Trattato di messa al bando parziale dei test atomici, primo accordo dall’inizio della Guerra Fredda tra le due superpotenze e primo accordo della storia sulle armi nucleari, firmato a Mosca nel 1963. Questo accordo dimostra come la grande paura stava paradossalmente rendendo il mondo più sicuro. In effetti, dopo la crisi di Cuba, la Guerra Fredda si avviò vero una distensione che portò ad un dialogo maggiore. Inoltre, l’Unione Sovietica, che fino ad allora aveva avuto un certo vantaggio dovuto alle imprese spaziali e all’espansione del comunismo al di fuori dei suoi confini, dalla metà degli Anni Sessanta sarà sempre in una posizione di inferiorità militare ed economica nei confronti degli Stati Uniti.

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