Carlo Erba, un pittore in trincea

Là, tra le trincee ai piedi del Monte Ortigara, condivise le fatiche della guerra con altri artisti, pittori e scultori, poeti e letterati. Come molti esponenti della corrente futurista, tra cui Umberto Boccioni, Filippo Tommaso Marinetti, Antonio Sant’Elia e Mario Sironi, anche Carlo Erba fu in prima linea, interventista tra gli interventisti, pronto a battersi in quella che per molti di loro era la “sola igiene del mondo” ma che in realtà non era che “un’inutile strage”. Artista poliedrico, pittore prima per ribellione verso una famiglia borghese, poi per passione, il milanese Carlo Erba, dopo un breve trascorso anarchico, si avvicinò a questa nuova corrente che aveva in Marinetti il suo massimo esponente. E quando, quell’Italia proletaria mosse di nuovo guerra nel maggio 1915, fu tra i primi ad aderire e ad arruolarsi volontario nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti Automobilisti, reparto del Regio Esercito nel quale andranno proprio a confluire molti dei Futuristi. Il Battaglione, dopo un periodo di addestramento nella periferia milanese, nei pressi di Gallarate, nell’ottobre 1915 entrò presto in azione. Era il giorno 21: di prima mattina, il reparto iniziò a muovere in direzione della linea da occupare, sotto il fuoco dell’artiglieria e degli shrapnels austriaci. Tre giorni dopo, l’attacco. Inestate le baionette, i soldati del Battaglione Ciclisti e gli Alpini attaccarono risolutamente le trincee nemiche tra Dosso Casina e Dosso Remit, sulle pendici settentrionali del Monte Altissimo.

Delle fatiche di guerra, Carlo Erba lascerà bozzetti, disegni, schizzi: uno spaccato della vita tra assalti alle trincee, lunghe attese nei rifugi, notti di guardia e di sentinella. E, intanto, in lui maturò l’idea di fare domanda nel Corpo degli Alpini: arruolato nel 5° Reggimento, Battaglione Monte Spluga, con il grado di Sottotenente, verrà ferito durante un’azione in alta montagna, mentre in un’altra occasione, il 2 novembre 1916, con grande coraggio, e incurante della propria incolumità, riuscì a trarre in salvo due commilitoni feriti, rimasti isolati a Punta Vallero, sulle Alpi Giulie: caricandoseli sulle spalle, e con grande sforzo fisico, li portò al riparo nelle linee tenute dalle Penne Nere, mentre tutto attorno cadevano i proiettili nemici e nell’aria fischiavano le raffiche delle mitraliatrici e della fucileria austriaca. E fu in trincea che la sua visione della guerra subì un lento, inesorabile, mutamento. Non più quell’igiene del mondo decantata appena un anno prima, bensì, come scrisse in alcuni suoi appunti e lettere, “la grigia uniforme monotonia di migliaia di uomini che aspettano vigilando, muoiono avanzando nell’irto groviglio di reticolati, è la musica del cannone e la rabbia delle raffiche di mitraglia”.

Promosso Tenente, Carlo Erba inizò il nuovo anno di guerra, il 1917, tra l’Altopiano di Asiago e l’Ortigara. Riuscì ad alternare la trincea con brevi licenze a casa, in una Milano diversa da come l’aveva lasciata: molte le famiglie che avevano perso un padre, un fratello, un figlio. E ancora, di questa guerra, non si vedeva la fine. Fu così che il Battaglione Monte Spluga, nel quale Erba era inquadrato, nel giugno 1917, fu ammassato sotto Quota 2012 di Cima del Campanaro: il giorno 11 entrò in azione, attaccando le difese nemiche presso Monte Castelnuovo, occupando alcune posizioni su Quota 2101. Nei successivi giorni gli Alpini sostennero alcuni duri contrattacchi nemici, assaltando a loro volta, all’arma bianca, le trincee avversarie: fu il giorno 13 giugno che il Tenente Carlo Erba non fece più ritorno alla propria linea. Fu decorato di Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla Memoria: “Costante dell’esempio di calma e fermezza d’animo in ogni circostanza, cadeva colpito a morte mentr, incurante di sé, percorreva, sotto violento fuoco di mitragliatrici nemiche, la fronte del proprio reparto per incorare i soldati. Monte Ortigata, 13 giugno 1917”. Il corpo, successivamente recuperato e sepolto a valle, andò disperso poco dopo: un violento fuoco dell’artiglieria austriaca colpì l’improvvisato campo santo dove le Penne Nere avevano raccolto i propri caduti, disperdendone per sempre i resti.

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