El Alamein: la Folgore muore ma non si arrende!

Fu tra i primi a cadere quel 24 ottobre 1942, il Sottotenente Giovanni Gambaudo, del 186° Reggimento Paracadutisti, Divisione Folgore. La notte precedente , alle 20.40 del 23 ottobre, improvvisamente, il deserto prese fuoco. Sulle posizioni italiane, nella buca dove il Sottotenente Gambaudo aveva la sua postazione, una pioggia infernale di bombe e granate si riversò tutto intorno: iniziava, nell’Africa Settentrionale, la battaglia di El Alamein. Alle 20.40 di quel 23 ottobre 1942, circa mille pezzi d’artiglieria inglese aprirono il fuoco contemporaneamente: ma nelle linee italiane, costituite da qualche trincea scavata nel deserto, qualche mitragliatrice e pezzi controcarro ormai quasi privi del tutto di munizioni, il morale resse. E quel morale e quella forza combattiva la scoprirono improvvisamente gli Inglesi quando avanzarono sulle linee sconquassate, divelte, credendo di trovare ormai soldati stanchi e in procinto di arrendersi. Invece trovarono soldati pronti a combattere. E caddero nelle loro buche, attaccati alle loro mitragliatrici, dentro i carri armati. Come cadde Giovanni Gambaudo, meritandosi la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria: “Comandante di centro avanzato attaccato da preponderanti forze corazzate e motorizzate, per tutta la notte, con il tiro delle proprie armi, riusciva ad inchiodare il nemico davanti alle sue posizioni, arrestandone lo slancio offensivo, e causandogli forti perdite. All’alba, per quanto ferito, con i pochi superstiti, si lanciava al contrassalto, per alleggerire la pressione sui centri di resistenza laterali. Ricacciato nel suo centro dall’azione dell’artiglieria nemica, ormai quasi privo di uomini, ferito una seconda volta, riprendeva personalmente il fuoco con le armi rimastegli. Ferito per una terza volta ed intimatagli la resa, rifiutava; ritto in piedi, sparava l’ultimo caricatore di moschetto sul nemico, e colpito una quarta volta, moriva al suo posto di combattimento gridando: La Folgore muore ma non si arrende! Viva l’Italia!. Qaret el Himmeimat, Africa Settentrionale, 23-24 ottobre 1942“.

Furono tante, le medaglie date quel giorno in quella battaglia. Moltissime quelle d’oro, a riprova del coraggio e del senso del dovere che i soldati italiani dimostrarono nelle ore più tragiche della guerra. Anche quando era ormai chiara la disfatta, non gettarono le armi, non si arresero fino a quando non venne sparato l’ultimo caricatore e lanciata l’ultima bomba a mano. Ma anche quando le munizioni erano ormai finite, molti di loro preferirono gettarsi in un ultimo, disperato, attacco, trasformando i loro stessi corpi in micidiali ordigni. La carne contro l’acciaio, verrà detto anni dopo. Come Gerardo Lustrissimi, flammiere paracadutista del 186° Reggimento, lo stesso di Giovanni Gambaudo. Basti, a riprova del suo valore e di quello dei suoi commilitoni, la motivazione della Medaglia d’Oro. Alla Memoria: “Lanciafiammista addetto allo sbarramento del varco di un campo minato, attaccato da preponderanti forze, sotto violento e continuo fuoco dell’artiglieria, per oltre ventiquattro ore si prodigava in ogni modo con il suo speciale mezzo di lotta per impedire il transito dei carri armati dell’avversario. Esaurito il liquido da lanciafiamme, continuava a combattere, lanciando bottiglie anticarro, fino a che caduto ferito, veniva catturato dall’avversario. Appena riavutosi, con un piccolo gruppo di compagni impegnava con audace corpo a corpo le sentinelle, e riusciva a rientrare nelle nostre linee. Ripreso il suo posto di combattimento e colpito nuovamente persisteva nella strenua impari lotta. Esaurite le munizioni, stretto da vicino da carri armati che irrompevano ormai attraverso il varco, sdegnoso di arrendersi, dissotterrava una mina e, a tre metri di distanza, la lanciava sotto il carro armato di punta che veniva distrutto dall’esplosione, investito dalla vampa e dalle schegge trovava gloriosa morte. Fulgido esempio di supremo eroismo nella luce delle più pure virtù guerriere. Africa Settentrionale, 23-25 ottobre 1942“.

E cadeva nel deserto africano anche il Sergente Maggiore Dario Pirlone, del 185° Reggimento. Anche lui, resistette oltre l’inverosimile, oltre ogni umana sopportazione. Resistette per i suoi compagni, per i suoi Paracadutisti e resistette anche per tutti quei soldati che non conosceva: per i Carristi dell’Ariete, per i Fanti della Pavia, per quelle migliaia di soldati rimasti ignoti e che oggi riposano, uno accanto all’altro, nei bianchi colombari del Sacrario di El Alamein, sorto nell’esatto luogo dove, il 10 luglio 1942, venne annientato il 52° Gruppo Cannoni da 152/37. Dario Pirlone cadde, armi in pugno, le gambe maciullate dalle esplosioni, mentre i carri armati britannici irrompevano nelle linee italiane. La Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria fu il premio al suo sacrificio: “Comandante di un pezzo anticarro impegnato da forte formazione di carri armati di fanteria nemica, riusciva, dopo strenua lotta, ad infliggere al nemico sensibili perdite, catturando con ardita mossa l’equipaggio di un carro colpito. Successivamente, avuto immobilizzato il pezzo, feriti i suoi serventi, ferito egli stesso gravemente alle gambe, incitava i dipendenti a non perdersi d’animo ed a continuare a combattere con le bombe a mano ed i pugnali. Sopraffatto dal nemico, irrompente nella postazione, vincendo lo strazio del suo corpo martoriato, sorreggendosi con uno sforzo supremo sulle gambe maciullate, scaricava la pistola sul nemico e, gridando Voi non mi avrete vivo! Viva l’Italia, cadeva da prode. El Alamein, Africa Settentrionale, 24 ottobre 1942“. I ragazzi della Folgore, i ragazzi di El Alamein, si guadagnarono a pieno titolo quell’angolo di cielo in cui dimorano, per l’eternità, i Santi e i Martiri. E gli Eroi. Gli Eroi di El Alamein.

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