Cadere sul fronte francese. Le storie di Luigi Nebuloni, Pietrino Fais e Michele Fiorino

Luigi NebuloniEgli cadde nell’ottobre 1918, in una giornata così calma e silenziosa su tutto il fronte, che il bollettino del Comando Supremo si limitava a queste parole: niente di nuovo sul fronte occidentale. Era caduto con la testa in avanti e giaceva sulla terra, come se dormisse. Quando lo voltarono si vide che non doveva aver sofferto a lungo: il suo volto aveva un’espressione così serena, quasi fosse contento che la fine fosse giunta a quel modo”. Così restava ucciso il protagonista del romanzo-diario di Erich Maria Remarque, Niente di nuovo sul fronte occidentale, uscito nel 1929 quale testimonianza e accusa contro la scelleratezza dell’uomo che aveva devastato l’Europa (e il mondo) facendolo sprofondare nella Prima Guerra Mondiale. Moriva così il protagonista, Paul Baumer, in un momento in cui si attendeva solo la fine della guerra: una morte assurda, sempre che esista una morte più assurda o giustificata di un’altra. E moriva così, poche ore prima della proclamazione dell’armistizio anche Luigi Nebuloni, Soldato del 42° Reggimento Fanteria il 22 giugno 1940. La guerra contro la Francia stava per terminare, ma sulle Alpi Occidentali si continuava a combattere. E a morire. Nebuloni stesso non sarebbe stato, infatti, l’ultimo Fante del Regio Esercito a restare ucciso in prossimità dell’armistizio. Originario di Vittuone, in provincia di Milano, tornitore presso lo Stabilimento Salmoiraghi, allo scoppio delle ostilità partì per il fronte francese. E fu durante i combattimenti presso Monte Razet che si distinse per valore e abnegazione: addetto ai mortai, sebbene ferito gravemente, non volle essere allontanato dalla scena d’azione, venendo trasportato in un ospedale delle retrovie solo a combattimento concluso. La gravità delle ferite, però, non lasciarono scampo a questo giovane di ventun anni mandato a combattere sul fronte francese. Per il suo coraggio gli venne conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria: “Porta arma di mortaio d’assalto, individuato dal nemico e gravemente ferito, rifiutava più volte di abbandonare il suo posto di combattimento, solo preoccupato della propria arma e dell’azione in corso. Decedeva poi all’ospedale stoicamente sopportando ogni sofferenza ed auspicando ai vittoriosi destini della Patria. Monte Razet, 22 giugno 1940”.

Pietrino FaisSe gli ultimi colpi di fucile venivano sparati poco prima che cadesse il Fante Nebuloni, al momento della dichiarazione di guerra alla Francia, quel 10 giugno 1940, i primi ad essere mobilitati lungo il confine furono le guardie confinarie, la Guardia alla Frontiera e la Regia Guardia di Finanza. E alle Fiamme Gialle apparteneva uno dei primi caduti sul fronte francese, il sardo Pietrino Fais, Finanziere. Durante la guerra mondiale, vennero mobilitati ben diciotto battaglioni che, insieme al naviglio posto alle dipendenze della Regia Marina, parteciparono alle operazioni sul fronte greco-albanese e nell’Arcipelago del Dodecaneso, dove si distinsero soprattutto il I, il II e il III Battaglione Mobilitato. Con i reparti del Regio Esercito ancora in fase di mobilitazione furono, dunque, i Finanzieri posti a difesa dei confini a ingaggiare scontri a fuoco contro pattuglie di soldati ed esploratori francesi. Giunsero, altresì, anche i primi caduti: il 14 giugno 1940 nei pressi di Castel del Lupo, Pietrino Fais partecipava ad un’azione contro una postazione francese, in previsione dell’avanzata del grosso delle fanterie italiane. Scoperta la pattuglia di Fiamme Gialle da parte dei Francesi, durante l’assalto condotto con bombe a mano, il Finanziere Fais restava colpito a morte da una scarica di fucileria. Alla sua memoria venne conferita la Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Appartenente a nucleo confinario, otteneva di partecipare ad un colpo di mano con un Plotone Arditi. Con ardimento, assaltando fra i primi la posizione nemica, riusciva con bombe a mano a fugarne i difensori. Colpito a morte esprimeva tutta la sua fierezza di offrire così la vita alla Patria. Castel del Lupo, 14 giugno 1940”.

Michele FiorinoSu quel fronte che vide, tra gli altri, il gesto eroico del Portaordini Giuseppe Pressato che, dopo essere stato gravemente ferito agli arti superiori nel tentativo di recapitare ai propri superiori un ordine di vitale importanze per le forze italiane, raggiunse le retrovie con l’importante missiva stretta tra i denti, e venendo per questo suo gesto decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare, la massima onorificenza venne conferita ad un giovane Sottotenente di Complemento, originario di Molfetta, cittadina affacciata sul mare nella provincia di Bari: Michele Fiorino. Già reduce della Guerra di Spagna, dove prestò servizio al seguito del 1° Reggimento Fanteria, Divisione d’Assalto Littorio, al momento dell’entrata in guerra dell’Italia venne richiamato in servizio e destinato al 37° Reggimento Fanteria, Divisione Ravenna. Come Luigi Nebuloni e come Pietrino Fais, anche Michele Fiorino varcò la frontiera in quel giorno di primavera del giugno 1940. Passarono pochi giorni e il reparto del giovane Sottotenente di Molfetta venne incaricato della conquista di Cima de Campbell, dove a Quota 1007 si trovava una postazione francese. I Fanti della Ravenna attaccarono le linee posizionate sulle Alpi Marittime, e subito si imbatterono in una dura resistenza. Era il 17 giugno: i soldati del Regio Esercito vennero presto inchiodati dal fuoco delle armi automatiche e la pattuglia del 37° Reggimento Fanteria ai comandi di Michele Fiorino si trovò presto impossibilitata ad avanzare.

Michele FiorinoFu allora che l’Ufficiale si sporse per meglio individuare le postazioni avversarie. Fu colpito più volte, nel vano tentativo di individuare da dove i Francesi decimavano i Fanti italiani. Venne decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria: “Comandante di pattuglia avente compito ardito contro munita posizione, ne guidava l’azione con tenace volere. Ferito ad una mano, prima sua cura era di assistere alcuni feriti che erano caduti al suo fianco, quindi, si medicava egli stesso sommariamente. Proseguendo nella sua missione si esponeva in punto fortemente battuto per meglio individuare la postazione di armi nemiche. Colpito una seconda volta gravemente al petto, non piegava ed ancor più si sporgeva per assolvere intero il suo compito, continuando con ferma parola ad animare i suoi Fanti. Ferito una terza volta, e a morte, volgeva le sue estreme energie ad accertarsi che una comunicazione sua fosse giunta al Comandante la Compagnia. La generosa vita chiudeva con rinnovate parole di incitamento ai suoi e con la sacra invocazione: Viva l’Italia! Pendici di Cima Campbell, 17 giugno 1940″.

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