Sergei Preminin, che sventò una catastrofe nucleare

Il 3 ottobre 1986, un ragazzo poco più che ventenne, Marinaio della Flotta del Nord, scongiurò, con il suo sacrificio una catastrofe nucleare dagli effetti devastanti. Sergei Anatolyevich Preminin non esitò un istante ad entrare all’interno del vano del reattore nucleare del Sottomarino K219, in navigazione nel Mar dei Sargassi, in pieno Oceano Atlantico, dopo che l’esplosione di un missile SSN-6 aveva danneggiato lo scafo e il reattore stesso. Il K219, agli ordini del Capitano di Secondo Rango Igor Anatolyevich Britanov, era salpato il 4 settembre 1986 dalla base di Murmansk alla volta dell’Arcipelago delle Bermuda, dove avrebbe condotto un’intensa attività di pattugliamento e ricognizione nel “cortile di casa” degli Stati Uniti d’America. Eppure, i guai iniziarono già poco dopo l’immersione. All’interno del vano missili numero 6, iniziò a penetrare acqua di mare che, miscelandosi al combustibile del missile, avrebbe rischiato di una pericolosa miscela esplosiva di gas ad alta pressione. La missione, però, non venne interrotta e il K219 entrò in Oceano Atlantico, transitando lungo la rete sonar SOSUS (Sound Surveillance System), dispiegata tra Groenlandia, Islanda e Gran Bretagna dalla United States Navy per intercettare i sottomarini sovietici.

Giunto in area di operazioni, quando si trovava a circa 1100 chilometri dalle Isole Bermuda, si verificò l’inevitabile. Nonostante i vani tentativi del Comandante Britanov di effettuare un lancio di emergenza, il missile contenuto nel vano numero 6 esplose, squarciando lo scafo e proiettando a bordo e in acqua frammenti di plutonio altamente radioattivo. Ma cosa peggiore si sviluppò un vasto incendio che danneggiò irrimediabilmente lo scafo: l’equipaggio venne fatto sbarcare all’interno di scialuppe, mentre a bordo restarono solamente il Comandante e pochi altri uomini. Da Mosca partì una corsa contro il tempo: vennero dirottati sul luogo del disastro tre mercantili che incrociavano in quelle acque, con l’ordine di prendere a rimorchio il K219 e navigare alla volta dell’Unione Sovietica, senza prestare ascolto alle richieste di assistenza che stavano pervenendo dal Governo degli Stati Uniti. L’incendio, intanto, divenuto indomabile, causò un corto circuito nel circuito di raffreddamento del reattore: ormai impossibilitato a rallentare la reazione a catena, essa avrebbe continuato a produrre energia, e soprattutto calore. Questo, aumentando oltre i livelli di guardia, avrebbe presto causato la fusione del nocciolo: a questo punto, la reazione incontrollata avrebbe causato a sua volta un’esplosione nucleare pari a quella di Chernobyl dell’aprile precedente. Fu allora che Sergei Preminin compì il gesto estremo.

Conscio che avrebbe assorbito una dose letale di radiazioni, assieme al Tenente Comandante Nikolai Belikov, ufficiale del reattore, entrò nel compartimento, abbassando manualmente tre delle quattro barre di controllo, rallentando la reazione a catena e scongiurando l’esplosione. Preminin non riuscì ad uscire, mentre Belikov perse conoscenza e venne estratto da altri marinai nel frattempo sopraggiunti. Il corpo del giovane marinaio si trova ancora oggi ad oltre 5000 metri di profondità, assieme a quelli di altri tre uomini dell’equipaggio che persero la vita immediatamente dopo l’esplosione. Il K219, infatti, sebbene preso a traino dal Mercantile Krasnovardeysk, affondò alle ore 11.02 del 6 ottobre 1986. Al rientro in Patria, il Comandante Britanov venne rimosso dall’incarico e posto in congedo. Alla memoria di Preminin, vennero conferiti il titolo di Eroe della Federazione Russa e l’Ordine della Stella Rossa. Per le conseguenze delle radiazioni, infine, altri quattro marinai persero la vita per complicanze da avvelenamento acuto.

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