La Crocerossina Rhoda De Bellegarde

Rhoda de BellegardeDopo le storie di Margherita Parodi, l’unica crocerossina sepolta tra le migliaia di combattenti a Redipuglia, di Ina Battistella, l’infermiera in “grigioverde” che prese le armi contro un reparto di soldati austriaci nei giorni finali della Grande Guerra, e di Maria Cristina Luinetti, caduta in terra di Somalia nel 1993 al seguito dell’Operazione Ibis, oggi parliamo di un’altra donna coraggiosa, Rhoda De Bellegarde, promessa del tennis italiano dei primi del Novecento ma che scelse volontariamente di vestire la bianca uniforme delle Infermiere Volontarie, partendo per il fronte del Piave dove cercò di alleviare le sofferenze di tanti soldati. Figlia di un ufficiale dell’esercito sabaudo, Rhoda nacque nella città di Firenze l’8 agosto 1890, dove si diplomò quale Infermiera della Croce Rossa il 29 marzo 1917, all’età di ventisette anni, seguendo così le orme della sorella Margherita, più grande di lei di nove anni, la quale svolgeva l’attività di Crocerossina dal 1908. Prima che scoppiasse la guerra, Rhoda univa, alla voglia di aiutare il prossimo, anche la passione per il tennis, sport del quale divenne una giovane promessa, vincendo negli anni 1913 e 1914 le prime due edizioni dei campionati femminili.

Infermiera Grande GuerraQuando scoppiò la guerra anche per l’Italia, nel 1916 decise di partire volontaria per il fronte, inizialmente svolgendo il ruolo di interprete presso l’ambulatorio radiologico inglese a Cormons, frequentando al contempo il corso per diventare Infermiera da campo, traguardo che conseguì, come già ricordato, nel marzo 1917. Nella sua mansione, Rhoda venne trasferita con la sorella Margherita all’Ospedale n. 71 di Gradisca d’Isonzo, dove dovette affrontare il dramma della disfatta di Caporetto dell’ottobre 1917: come ricordato da Maria Enrica Monaco Gorni nel volume Sorelle nella Grande Guerra, dalle lettere che spediva alla famiglia dalla linea del fronte, si evince tutta la drammaticità di quei giorni e la sofferenza nel vedere così tanti ragazzi uccisi da una mitragliatrice sotto un reticolato austriaco. Passati i difficili momenti dell’autunno-inverno del 1917, l’anno successivo le due sorelle vennero trasferite in primavera all’Ospedaletto n. 191, ricavato all’interno di un vecchio castello a Stigliano Veneto: luogo, questo, adibito più che altro alla convalescenza dei soldati feriti al fronte, prima del loro rientro in servizio, ma che certamente, vista la vicinanza al fronte del Piave, non risparmiò Rhoda e Margherita dal prendersi cura di soldati gravemente feriti.

Febbre SpagnolaI mesi passavano e la guerra ormai stava volgendo al termine, ma un nuovo flagello stava per abbattersi sull’Europa già martoriata da quattro anni di guerra mondiale: la pandemia di Spagnola. Anche all’Ospedaletto n. 191 cominciarono a manifestarsi i primi casi e ne venne colpita anche Rhoda: una grave forma di polmonite stroncò i suoi ventotto anni il 13 ottobre 1918, poco prima che il 4 novembre il Generale Armando Diaz proclamasse la fine delle ostilità. Per la sua opera caritatevole, venne insignita della Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria, con questa motivazione: “Animata da elevato sentimento del dovere rimase intrepida al compimento della sua missione durante intensi bombardamenti nemici. Singolare esempio di altruismo e di abnegazione, continuò a prestare l’opera sua in ospedali avanzati sino a grave contagio,contratto nella cura degli infermi, che ne troncò la giovanile esistenza. Gradisca, ottobre 1917”. In una delle ultime lettere spedite a casa, datata 23 settembre 1918, scriveva: “C’è un’epidemia di polmonite influenzale e le scuole sono il lazzaretto: ho paura se la piglino tutti i nostri soldati”. Quei soldati, che lei era solita chiamare “i suoi figliuoli” e con cui venne sepolta assieme nel piccolo cimitero da campo di Briana, senza allontanarvisi, neanche dopo la morte.

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