L’affondamento del Bombardiere e l’eroismo dei Marinai italiani

RCT BombardiereDal momento del varo, nel marzo 1942, all’affondamento per opera di un sommergibile inglese, avvenuto neanche un anno dopo, il Cacciatorpediniere Bombardiere ebbe una vita breve ma intensa, in un momento in cui la guerra nel Mediterraneo era alla sua svolta principale: l’Africa Settentrionale, dopo le alterne vicende che la videro protagonista per quasi due anni, con la Battaglia di El Alamein vide la lenta, ma inesorabile ritirata italo-tedesca verso la Tunisia. Per tentare di rallentare l’avanzata alleata, dall’Italia iniziarono a partire numerosi convogli con rifornimenti, truppe e materiali: anche i veloci cacciatorpediniere furono attrezzati alla bisogna. Il 17 gennaio 1943, al comando del Capitano di Fregata Giuseppe Moschini, il Bombardiere, assieme al Legionario, lasciò Biserta per scortare la Motonave Mario Roselli, con destinazione la città di Palermo, il cui arrivo era previsto per l’indomani notte. Tutto procedette senza intoppi, mare calmo, nessuna attività nemica segnalata o avvistata: l’unica preoccupazione erano le insidie portate dai sommergibili della Royal Navy. Alle 17.30 ecco manifestarsi il pericolo: dalla plancia del Bombardiere veniva avvistata l’inconfondibile scia di un siluro. Il Comandante Moschini tentò una manovra evasiva, virando il più velocemente possibile a dritta: pochi istanti dopo, una violenta esplosione quasi staccava di netto l’intera plancia, spezzando la nave in due tronconi. Fu allora che tutti gli uomini ancora in grado di camminare, si prodigarono per mettere a mare le scialuppe e a prestare i soccorsi a quanti erano feriti. Nel frattempo, il Legionario e il Mario Roselli, continuarono la navigazione, limitandosi a gettare a mare alcuni zatterini di salvataggio, soprattutto per il rischio reale che potesse nuovamente manifestarsi un attacco nemico.

Giuseppe MoschiniIl Capitano Moschini, in una corsa contro il tempo, con il troncone di prua ormai quasi completamente sommerso dalla acque, riuscì con uno sforzo sovrumano a raggiungere il timoniere che, a seguito dell’esplosione, era rimasto intrappolato tra le lamiere divelte e accartocciate. Riuscì appena in tempo a gettarlo a mare, più lontano possibile dai gorghi creati dall’affondamento, che pochi secondi dopo, Giuseppe Moschini affondava con quello che restava del “suo” Bombardiere. Venne insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare alla Memoria: “Comandante di altissime qualità morali cd intellettuali, di esempio a tutti in ogni circostanza per generoso slancio e salda preparazione professionale, profondeva durante il conflitto le molteplici capacità acquisite in pace ed in guerra di osservatore di aereo e di pioniere degli aerosiluranti, di valoroso ufficiale sommergibilista e palombaro, di brillante tecnico di artiglieria e di armi subacquee. Comandante dì Cacciatorpediniere di scorta ad importante convoglio, in un momento del conflitto in cui le missioni intraprese erano con quasi costante certezza votate a glorioso sacrificio sotto l’infuriare della preponderanza aerea e navale avversaria, conduceva la sua nave con l’abituale serena perizia attraverso le insanguinate rotte del Canale di Sicilia. Fatto segno a lancio di siluri da parte di sommergibile avversario, vista l’immediatezza del pericolo, si portava di persona presso il timone onde rendere più rapida la contromanovra. Colpita irrimediabilmente l’unità, che si divideva in due, incurante della propria esistenza dedicava gli ultimi istanti della sua operosa vita per salvare il timoniere rimasto imprigionato nelle lamiere contorte della plancia divelta. Nell’altruistico slancio trovava eroica morte inabissandosi con l’unità e lasciando luminoso esempio di generoso altruismo e di elette virtù militari. Canale di Sicilia, 17 gennaio 1943″.

Eugenio AmatrudaGli atti di coraggio e valore dei Marinai del Bombardiere furono tantissimi. Tra quelli di maggior rilievo, il Capitano del Genio Navale Eugenio Amatruda, Direttore di Macchina del Cacciatorpediniere affondato. Fin dal primo momento coordinò il salvataggio dei suoi uomini, nonostante una gamba gravemente ferita da una scheggia. Nel momento di gettarsi in mare, lasciò il suo posto sulla zattera di salvataggi ad un altro membro dell’equipaggio, rimanendo aggrappato al mezzo di soccorso. Quando giunsero le navi in aiuto, il suo fu uno dei tanti corpi ad essere ripescato ormai senza vita. Fu decorato di Medaglia d’Argento al Valor Militare alla Memoria: “Direttore di Macchina di Cacciatorpediniere di scorta a convoglio proveniente dall’Africa Settentrionale, si prodigava al massimo delle sue forze per la riuscita della manovra di disimpegno della nave fatta segno al lancio di siluro da parte di sommergibile nemico in agguato. Colpito irrimediabilmente il Cacciatorpediniere da siluro che provocava lo scoppio delle caldaie, cooperava alla salvezza del superstite personale di macchina, malgrado avesse una gamba spezzata da scheggia. Raccolto sanguinante e privo di forze, acconsentiva a lanciarsi in mare fra gli ultimi, dolente, più che per le gravi ferite, per non essere in grado di dare ancora la sua valida opera per la salvezza della nave prossima ad affondare. Si spegneva serenamente durante la notte, stando aggrappato ad uno zatterino, dopo aver raccomandato ad altro ufficiale naufrago la sorte dei suoi uomini. Fulgido esempio di sentimento del dovere e di spirito di sacrificio. Canale di Sicilia, 17 gennaio 1943”.

Stessa onorificenza si meriterà il Sottocapo Elettricista Giovanni Peluso che, conscio della sua prossima fine data la gravità delle ferite riportate, si fece gettare in mare, data l’instabilità della zattera in cui si trovava perché sovraccarica di naufraghi. Il successivo capovolgimento del mezzo di soccorso ne causava la morte per annegamento, non riuscendo più a risalire in superficie per le ferite che aveva riportato agli arti infreriori: “Imbarcato su Cacciatorpediniere affondato per siluramento da parte di sommergibile nemico in agguato, durante scorta a convoglio proveniente dall’Africa Settentrionale, gravemente ferito ad una gamba e raccolto su zattera di salvataggio sovraccarica di naufraghi, invitava i compagni che cercavano di medicarlo a non perdere tempo prezioso con lui e, presentendo la morte vicina, chiedeva di essere nuovamente gettato a mare per dar posto ad altri naufraghi aggrappati attorno alla zattera: muoio, buttatemi a mare, lo so che debbo morire, date il mio posto ad altri, ho la gamba rotta non mi posso salvare. La zattera, già sovraccarica, si capovolgeva e l’abisso si chiudeva su questo magnifico marinaio, esempio di coraggio, spiccato spirito di sacrificio e senso di altruismo. Canale di Sicilia, 17 gennaio 1943”.

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