Squali e marinai: il dramma della USS Indianapolis

USS IndianapolisTrasportava alcuni importanti componenti di un’arma ancora Top Secret, i cui creatori erano convinti avrebbe dato un’accelerazione alla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma avrebbe dato al tempo stesso un chiaro messaggio all’alleato (ancora per poco) sovietico. Il carico era composto da alcuni componenti della nuova super arma americana, la bomba atomica che sarebbe esplosa il 6 agosto 1945 sulla città giapponese di Hiroshima. La nave, un Incrociatore Pesante, era la USS Indianapolis, comandata da un esperto e valido marinaio, il Capitano di Vascello Charles Butler McVay: il 26 luglio 1945, dopo aver consegnato l’involucro e la carica di uranio della prima bomba atomica alla base americana di Tinian, nelle Isole Marianne, fece rotta verso Leyte, nell’Arcipelago delle Filippine, per unirsi ad una task force navale che incrociava in quelle acque.

Charles McVayVarata nel 1931, la USS Indianapolis scampò miracolosamente all’attacco giapponese di Pearl Harbour del 7 dicembre 1941 in quanto impegnata in un’esercitazione navale, con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, il 20 febbraio 1942, la nave venne impegnata nel primo scontro contro forze aeronavali giapponesi a sud di Rabaul, in Nuova Britannia. Prese poi parte alla gran parte delle operazioni nell’Oceano Pacifico, dalla Battaglia di Tarawa a quella di Peleliu, fino alle battaglie finali di Iwo Jima e Okinawa. Fu così impiegata per quella che doveva essere una missione di trasporto di routine, anche se il carico era Top Secret: le acque in cui navigava, però, erano ancora battute dai sommergibili nipponici. Dopo aver consegnato il suo carico, la USS Indianapolis cominciò a navigare verso Leyte, ma la notte del 30 luglio 1945, avvistata dal Sommergibile giapponese I-58 del Comandante Mochitsura Hashimoto, venne affondata dal lancio di due siluri: per l’equipaggio iniziò così un dramma lungo una settimana, fino all’8 agosto, quando i superstiti vennero recuperati. Subito dopo l’affondamento, circa 900 (su 1196) furono i marinai che riuscirono a salvarsi gettandosi in mare: iniziò allora una lotta per la sopravvivenza contro un nemico fino ad allora impensabile, gli squali.

USS Indianapolis MemorialAlla fine dell’odissea, solo 316 marinai furono tratti in salvo: tutti gli altri, trovarono la morte per annegamento, disidratamento, per le gravi ferite riportate e per i numerosi attacchi degli squali che infestavano le acque, attirati dal sangue dei feriti. Gus Kay, uno dei pochi marinai superstiti, così ricorda quei tragici momenti: gli squali “si avvicinarono e presero a girare in tondo per ore intere. Noi ci agitammo cercando di tenerli alla larga, ma vennero dritto addosso al gruppo: strapparono gli arti dei marinai, l’acqua era insanguinata”. Dopo essere stati tratti in salvo dalle navi e dagli aerei americani, per il Comandante McVay iniziò un nuovo calvario: la corte marziale per essere responsabile della perdita della sua nave. Era la prima volta che il Judge Advocate General (il JAG, reso famoso dalla serie televisiva) processava un ufficiale a causa dell’affondamento della propria nave in tempo di guerra ad opera del nemico: gli fu imputato che non navigava a zig-zag, manovra utilizzata per sfuggire agli attacchi dei siluri dei sommergibili nemici. In realtà, la United States Navy voleva coprire le sue colpe: aver fatto navigare la USS Indianapolis sena un’adeguata scorta, aver fatto partire le ricerche dei naufraghi con cinque giorni di ritardo e, soprattutto, non aver informato McVay che sulla rotta che stava per coprire era stata già registrata attività nemica. Solo nel 2001 McVay fu scagionato da tutte le accuse. Era però troppo tardi: il 6 novembre 1968, nel giardino della sua casa a Litchfield, nel Connecticut, si era sparato un colpo di pistola alla testa.

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