Nicola Bellomo, da Eroe a criminale di guerra

Nicola BellomoVenne fucilato perché mise in luce il caos creato dall’armistizio. Di sua iniziativa, prese le armi contro i Tedeschi all’indomani del proclama del Maresciallo Pietro Badoglio, raccolse attorno a sé un manipolo di soldati, infuse loro coraggio e li condusse ad uno scontro che si rivelerà vittorioso. Nicola Bellomo, barese di origine, durante la Prima Guerra Mondiale con il grado di Capitano dimostrò tutta la sua attitudine al comando e il suo valore, venendo decorato al Valor Militare. Durante il primo anno di guerra, schierato con il suo reparto sul Monte Podgora, nelle fasi di preparazione di un assalto alle trincee nemiche, si recò personalmente, al comando di una pattuglia, sotto i reticolati nemici per farli saltare con diversi tubi di gelatina, aprendo così numerosi varchi che permisero alle forze italiane di sopravanzare e occupare le trincee austriache. Si guadagnò la Medaglia d’Argento al Valor Militare: “Ufficiale in servizio di Stato Maggiore, incaricato di recarsi alle trincee di prima linea per rendersi conto del modo col quale si provvedeva alla preparazione e all’impiego dei tubi di gelatina per la rottura dei reticolati, allo scopo di dimostrare come tali operazioni si dovessero eseguire spontaneamente, si assumeva il compito di caricare e di innescare i tubi e di condurre personalmente la pattuglia a collocarli sotto i cavalli di Frisia nemici facendoli ivi esplodere con buon esito. Podgora, 21 ottobre 1915”. Terminato il conflitto, sebbene ricoprì incarichi presidiali sul territorio nazionale, Nicola Bellomo era diventato un Ufficiale apprezzato da colleghi e superiori, soprattutto per lo spirito di iniziativa che lo contraddistingueva.

Campo di Torre TrescaSebbene messo a riposo nella seconda metà degli Anni Trenta, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale lo vide costretto a vestire nuovamente il panno grigio-verde. Dal 15 gennaio 1941 ricoprì, con il grado di Generale di Brigata, il comando del Presidio Militare di Bari: si distinse particolarmente quando, avvisato dal controspionaggio del SIM, il Servizio Informazioni italiano guidato dal Generale Cesare Amé, riuscì a catturare un gruppo di commandos inglesi che si erano paracadutati nella penisola con il compito di sabotare linee ferroviarie e stradali, nonché l’Acquedotto pugliese, con tutti i disagi di approvvigionamento idrico per il Sud Italia che la riuscita dell’operazione avrebbe causato. Catturati, i prigionieri furono tutti condotti presso il campo di prigionia di Torre Tresca, oggi parte della città metropolitana di Bari. Pochi mesi dopo, il 30 novembre 1941, due prigionieri inglesi, il Capitano George Playne e il Tenente Roy Roston Cooke, riuscirono ad evadere dal campo ma vennero catturati nuovamente poche ore dopo. Allarmato dall’accaduto, soprattutto perché vi erano i sospetti che alcune reti spionistiche inglesi li avessero aiutati, il Generale Bellomo si recò al campo e, presi in custodia i due prigionieri, si fece accompagnare da questi, assieme ad una scorta, sul luogo dell’evasione. Fu a questo momento che i due Inglesi tentarono nuovamente la fuga: le sentinelle italiane aprirono il fuoco con i loro moschetti, uccidendo il Capitano Playne e ferendo in maniera non grave il Tenente Cooke. Due diverse commissioni, una condotta dal Regio Esercito ed una dalla Delegazione Svizzera della Croce Rossa su mandato britannico, appurarono l’estraneità di Bellomo al fatto di sangue e che questi diede ordine di sparare solo quando si era palesata la tentata fuga: il fatto, pertanto, venne archiviato.

Porto di Bari.jpgE quando giunsero i giorni nefasti dell’armistizio dell’8 settembre 1943 non esitò a prendere le armi contro chi stava per distruggere il porto di Bari. Come ricorda lo storico e giornalista Ivan Palermo “incitati da Bellomo che stringeva nella destra una pistola, i soldati avanzarono di corsa gettando bombe a mano, sparando con i fucili e in molti casi caricando all’arma bianca. I Tedeschi risposero con il fuoco delle mitragliatrici e un fitto lancio di granate, che aprì molti vuoti tra le fila italiane. Lo stesso Bellomo venne ferito in più punti alle mani e al braccio destro da una granata esplosa a pochi metri da lui”. La battaglia sembrava volgere al peggio per le forze italiane: in numero inferiore, molti caddero sotto i colpi della Wermacht e dei genieri tedeschi, ora più che mai intenzionati a far saltare i moli, le banchine, le infrastrutture portuali principali della città. Anche se fu uno scontro ininfluente sul piano tattico e strategico, non mancarono gli atti di coraggio. Il Sottotenente Michele Chicchi, in forza al 9° Reggimento Genio Artieri, guidò un gruppo di uomini all’assalto, venendo colpito in pieno petto da una raffica di mitragliatrice. Si guadagnò, per il suo sacrificio e il suo coraggio, la Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Durante un’azione contro Tedeschi che avevano occupato, con un colpo di mano, una zona portuale di notevole importanza, concorreva all’attacco di un caseggiato nel quale si erano asserragliati, distinguendosi per slancio e sprezzo del pericolo, finché, colpito mortalmente, cadeva alla testa dei suoi valorosi Genieri. Bari, zona portuale, 9 settembre 1943”.

Nicola Bellomo arrestatoAnche al Generale Bellomo fu conferita una Medaglia d’Argento al Valor Militare per aver evitato la distruzione del porto: “Avuto sentore che nuclei nemici avevano con azione fulminea attaccato gli impianti portuali per tentarne la distruzione, alla testa di pochi ardimentosi si lanciava all’attacco dell’avversario riuscendo a sconcertarne i piani. Ferito, organizzava un nuovo attacco. Lasciava poi il terreno ella lotta, a seguito di nuova ferita e dopo il sopraggiungere dei rinforzi. Bari, 9 settembre 1943″. Ma fu una decorazione alla Memoria. Si, perché appena due anni dopo gli eroici combattimenti del porto di Bari, Nicola Bellomo, l’11 settembre 1945, compariva dinnanzi ad un plotone di esecuzione inglese nel carcere di Nisida venendo fucilato quale criminale di guerra. Era successo che qualcuno, rimasto ancora oggi ignoto, denunciò il Generale per i fatti del novembre 1941 quando a Torre Tresca rimase ucciso il prigioniero inglese. Arrestato il 28 gennaio 1944, il Tribunale Militare ascoltò i testimoni di allora, sia il Tenente Cooke che i militari italiani presenti: tutti accusavano Bellomo di aver aperto il fuoco di sua iniziativa sui due prigionieri con la propria pistola, sebbene i colpi esplosi e le ferite fossero riconducibili a fucili in dotazione al Regio Esercito. Inoltre, le testimonianze furono spesso contraddittorie e incomplete; furono anche ignorate le conclusioni delle commissioni che analizzarono i fatti all’indomani dell’accaduto, compresa quella della Croce Rossa: insomma, furono prese per buone solo le testimonianze di accusa nei confronti del Generale, non esaminando invece quelle che lo avrebbero discolpato. Anni dopo, Peter Tomkins, spia dell’OSS americano in territorio italiano ricorda come “la corte britannica fosse stata tratta in inganno da Badoglio e da agenti monarchici che, in tutta segretezza, fecero ricorso al falso per favorire la fucilazione di Bellomo. Essendo l’unico Generale italiano che di propria iniziativa combatté i Tedeschi e mantenne la città di Bari fino all’arrivo degli Alleati, rappresentava una minaccia per il Re e per Badoglio, perché rivelava al mondo lo squallore del loro tradimento”.