Le guerre si vincono per la preparazione militare, per l’efficienza delle truppe e per la supremazia delle armi. Ma, spesso, un ruolo importante lo giocano le informazioni: celare le proprie e scoprire quelle del nemico, infatti, sono diventati i principali compiti di un buon servizio informazioni. Purtroppo, però, il troppo segreto e il troppo riserbo ha portato a gravi conseguenze per gli eserciti: la paura di essere intercettati può obbligare a non diramare informazioni ritenute di vitale importanza, causando al contempo gravi episodi di fuoco amico. E la Regia Marina, nel corso del secondo conflitto mondiale, pagò a caro prezzo questa mancanza di informazioni, perdendo in due distinti episodi un Sommergibile, il Gemma, e un Cacciatorpediniere, l’Antoniotto Usodimare. Varato alla fine del maggio 1936, il Gemma, dopo alcune infruttuose prove nel Mar Rosso presso la base di Massaua per testarne le capacità nei mari caldi, fece ritorno in Mar Mediterraneo, assegnato alla base di La Spezia. Affidato al comando del Tenente di Vascello Guido Cordero Lanza di Montezemolo, allo scoppio delle ostilità nel giugno 1940 venne destinato ad operare nel Mediterraneo Orientale, compiendo al largo di Sollum e di Creta varie missioni di tipo offensivo ed esplorativo senza, però, individuare naviglio nemico. Nonostante gli esiti negativi, il Comandante Cordero Lanza di Montezemolo mise in luce buone doti di comando, venendo promosso al grado superiore di Capitano di Corvetta e guadagnandosi una Croce di Guerra al Valor Militare: “Comandante di sommergibile, eseguiva ripetute missioni di guerra, dando costante prova di aggressività e di spirito di decisione. Mar Mediterraneo, giugno-settembre 1940”. E poi venne la quarta missione di guerra. Partito dall’Isola di Lero il 30 settembre 1940 assieme ad altri due sommergibili italiani, il Tricheco e l’Ametista, il Gemma si portò, sempre agli ordini del Capitano di Corvetta Guido Cordero Lanza di Montezemolo, nella zona d’agguato assegnata, presso il Canale di Caso, nell’Egeo Meridionale.
Otto giorni dopo, il relitto del Sommergibile giaceva sul fondo marino, sventrato dall’esplosione di due siluri che resero vano ogni tentativo di messa in salvo dell’equipaggio. Alla Memoria del Comandante, venne conferita la Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Comandante di Sommergibile, in dure missioni di guerra dava prova di serenità e di coraggio, finché nell’adempimento del proprio dovere cadeva combattendo, sacrificando con estrema dedizione la propria esistenza alla Patria. Mediterraneo Orientale, 10 giugno 1940-8 ottobre 1940”. Era accaduto che, nelle parole dello storico navale Giorgio Giorgerini, il Gemma “fu affondato alle 01.21 dell’8 con la perdita di tutto l’equipaggio, silurato per errore dal Tricheco che, non essendo al corrente, come pure il Gemma, dei rispettivi movimenti, lo scambiò per un battello avversario”. Questo incredibile caso di fuoco amico era dovuto, principalmente, ad errori di comunicazioni, informazioni non diramate per tempo, lentezza nel trasmettere ordini. E in guerra, questi errori, possono risultare fatali, causando la morte di tutti e quarantaquattro i membri dell’equipaggio. La missione iniziata il 30 settembre, infatti, fu segnata fin dall’inizio da grossa confusione: inizialmente, i tre sommergibili sarebbero dovuti rientrare alla base la sera del 9 ottobre. Invece, in pochi giorni furono diramati una serie successiva di ordini, di spostamenti e di rientri anticipati che furono alla base della tragedia. L’Ammiraglio Teucle Meneghini così ha ricostruito gli eventi: “Il 3 ottobre il Comando dell’Egeo, dal quale dipendevano per l’impiego i sommergibili del gruppo di Lero, ordinava al Gemma, tramite Supermarina, di spostarsi passando a nord di Zafrana. Tre giorni dopo, il 6 ottobre, lo stesso comando indirizzò un altro messaggio telecifrato, sempre tramite Supermarina, con il quale ordinava al Gemma di rientrare subito alla base. Questo cifrato non venne ritrasmesso da Supermarina all’unità in mare per un fatale disservizio, come risultò chiaramente dalla relazione della commissione d’inchiesta incaricata di ricercare le cause che avevano portato alla perdita del sommergibile”. Pertanto, quando il Capitano di Corvetta Alberto Avogadro di Cerrione, Comandante del Tricheco, avvistò dal suo periscopio l’inconfondibile sagoma di un sommergibile ritenuto sconosciuto, non avendo ricevuto alcuna informazione sul transito di battelli italiani, diede ordine di lanciare due siluri. Pochi istanti dopo, le alte colonne d’acqua causate dalla detonazione, fecero inabissare rapidamente ciò che ormai restava del Gemma: poco dopo, al rientro presso la base di partenza, la gioia di aver affondato un sommergibile nemico, lasciò presto il posto, nel Comandante Avogadro di Cerrione e negli uomini d’equipaggio del Tricheco, il dolore la profonda rassegnazione di aver ucciso degli amici e dei fratelli.
Nel suo diario personale, il Maresciallo Ugo Cavallero, Capo di Stato Maggior Generale, scriveva laconico in data 9 giugno 1942: “Abbiamo perduto un Cacciatorpediniere”. E quella nave persa era l’Antoniotto Usodimare, spezzatosi in due e inabissatosi in appena cinque minuti al largo di Capo Bon, promontorio della Tunisia. Morirono in 141 in quella tragedia: tra i naufraghi recuperati, vi fu anche il Capitano di Fregata Luigi Merini, valente ufficiale già distintosi in precedenti missioni, durante le quali venne decorato per due volte al Valor Militare. Ripescato su una zattera dalle unità di soccorso, il Comandante Merini prodigò tutto sé stesso per coordinare i soccorsi, salvando così da morte certa numerosi membri del suo equipaggio. Per questa sua opera, venne insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare: “Comandante di Cacciatorpediniere di scorta a convoglio, colpito e rapidamente affondato per offesa subacquea nemica, si prodigava durante la permanenza in mare per il salvataggio del personale che faceva imbarcare su una motolancia di un’unità venuta in soccorso. Recuperato il mattino successivo su una silurante, insieme agli altri naufraghi della zattera, provvedeva con coraggio ed elevato senso di abnegazione al rastrellamento della zona, onde porre in salvo tutta la gente ancora in mare. Mediterraneo Centrale, 8 giugno 1942”. Purtroppo, però, l’offesa subacquea citata nella motivazione dell’onorificenza conferita non era nemica, bensì amica. Il Cacciatorpediniere Usodimare, infatti, era salpato la notte dell’8 giugno 1942 dal Porto di Napoli assieme alla Motonave Vettor Pisani, carica di rifornimenti diretti a Tripoli. Prendeva parte alla scorta anche il Caccia Premuda. Poche ore dopo, a questo piccolo convoglio si ricongiunsero anche le Torpediniere Lince e Circe e la Motonave Sestriere. Appena doppiato Capo Bon, non informato da Supermarina del transito del convoglio, il Tenente di Vascello Sergio Puccini avvistò dal periscopio del Sommergibile Alagi le sagome inconfondibili delle navi: per di più, il Premuda, ex nave jugoslava di costruzione inglese, ingannò ulteriormente il Comandante del battello italiano essendo molto simile, come forma ad unità leggere della Royal Navy.
Assunta la posizione di attacco, alle 21.23 un siluro dell’Alagi colpiva al centro l’Usodimare, spezzandolo a metà e non lasciando scampo ad oltre un centinaio di marinai imbarcati. Tra coloro che trovarono la morte nell’unico episodio di fuoco amico che coinvolse un sommergibile ed un cacciatorpediniere italiano, il Capitano di Corvetta Aldobrando De Paulis, Comandante in Seconda dell’unità colpita, che scomparve a bordo della sua nave, venendo poi insignito della Medaglia di Bronzo al Valor Militare alla Memoria: “Comandante in Seconda di Cacciatorpediniere, di scorta a convoglio che, irrimediabilmente colpito da offesa subacquea, affondava rapidamente, rendendo vano ogni provvedimento atto a salvare l’unità e il suo equipaggio, scompariva con la nave, al cui potenziamento aveva costantemente dedicata la sua opera, nell’adempimento generoso del suo dovere. Mediterraneo Centrale, 8 giugno 1942”. Scrisse l’Ammiraglio Meneghini: “Poco dopo, da un marconigramma del Sommergibile Alagi, che dava notizia di aver avvistato una formazione navale e di aver lanciato contro tale formazione una salva di siluri con esito positivo, sia Supermarina, sia le unità in mare comprendevano che il siluro che aveva affondato l’Usodimare era stato lanciato da un sommergibile”. Ancora una volta, la mancanza di informazioni aveva determinato una nuova tragedia tra gli equipaggi delle navi e dei sommergibili della Regia Marina.